Renzi sta al Partito Democratico e alla sua storia come la Germania sta all’Unione Europea e alla sua storia.
Egemone, in ogni senso, da quando lo ha conquistato più di tre anni fa, ma incapace di esserne leader. Incapace, anche perché nolente, di incarnare la figura del “leader di partito” di cui un partito del centrosinistra italiano ha costitutivamente bisogno.
Mettiamo fosse vero che la “scissione” avvenga, o stia avvenendo, per davvero per una questione di liste. Due Presidenti di Regione se ne vanno dal partito più grande del paese per una questione.. di liste?
No, la verità è che, alla povertà della politica, della tattica e della strategia generale degli scissionisti, corrisponde una povertà della leadership di Matteo Renzi. Una scelta ben precisa, chiarissima, di fare non più del minimo indispensabile per evitare una lacerazione pesante che, davanti all’immensità del dispiegarsi della storia, ha semplicemente del ridicolo.
Basti pensare che il discorso di ieri, così come – ad orecchio – tutti quelli che hanno succeduto il disastro del 5 dicembre, non hanno contenuto un’autocritica sostanziale alla propria linea, al proprio messaggio, al proprio “essere” quella figura politica lì. Basti pensare che ieri, in chiusura di un discorso che doveva aprire un’assise drammatica, Renzi ci annunciava che ci aspettava al Lingotto. Alla sua convention, di parte del partito, che aprirà la fase giò denominata “In Cammino”, in chiara imitazione dell’avventura transalpina di Emmanuel Macron.
Ora, è vero, si dirà che i partiti non servono più a nulla. E che Renzi sia giunto proprio in quella fase storica, culturale, in cui il partito diveniva un affare “liquido” (formula citata, ancora una volta, anche ieri), che non costitutiva più un ambiente di decisione ed elaborazione rilevante. Il problema è che a conti fatti questa visione, questa riluttanza a guidare, ad essere “leader di partito”, ha permesso a padroni, padroncini, capetti e ladruncoli vari – con la protezione del “simbolo” – di fare esattamente ciò che volevano sui territori del Paese, specialmente quelli più svantaggiati.
Questa riluttanza ad aggiustare la macchina infangata, il motore ingolfato di pratiche post-comuniste e peggio-cristiane che era il Pd bersaniano, ha prodotto il contrario della rottamazione. Rottamazione che oggi invece arriva, in maniera seppur parziale, accompagnata da un trauma che per molti è doloroso. E che rischia, sempre su quei territori, di far naufragare un sistema di potere per aprire la porta ad altri ben peggiori.
I leader di partito – che mestiere fuori moda! – si prendono cura delle loro comunità, e fanno in modo che esse sopravvivano alla loro leadership. Che ne siano sconvolte magari, certo, in positivo, ma con tempi e modalità che rispettino sensibilità, umanità varie, tradizioni anche obsolete cercando di modernizzarle. Tony Blair, ad esempio, ha avuto modo di farlo in tre anni di opposizione a John Major. Renzi, invece, asserragliato sin da subito nella pratica difficilissima del governo, importantissima, ha – certo comprensibilmente – preferito blindare tutto. Ma cosa può nascere di altro e di nuovo, cosa può nascere che possa poi sostituirti, in questo modo? Nulla.
Non è un caso che i suoi sfidanti di oggi siano ex Segretari e Presidenti del Consiglio, Governatori di Regione ventennali riscopertisi rivoluzionari e socialisti, magistrati in aspettativa affini all'”uomo comune”, e vario pollame da batteria, in fuga dall’inconsistenza. Gruppuscoli incapaci di adottare strategie coerenti e leali, e senza la voglia né il tempo né il modo di adottare un’elaborazione che sia a medio-lungo termine. Tutto chiacchiere e.. scissione, il mantra indelebile.
La ribellione degli scissionisti sembra insomma la ribellione a brevissimo termine che gli staterelli europei schiacciati dall’egemonia della Merkel, ogni due per tre prodighi di minacce dirette alla matrigna Unione Europea. Incapaci di organizzarsi e di elaborare (vedi Francia, Spagna, Italia) conducono una inefficace guerriglia, senza ottenere mai nulla e senza prendere la posizione giusta nelle battaglie essenziali (vedi la Grecia).
Ora, alcuni Stati – proprio come i ribelli del Pd – dall’Europa minacciano di andarsene, animati dalle più deleterie intenzioni. Il tutto mentre la Germania-Renzi rimane inamovibile nelle sue convinzioni di austerità e nella sua dinamica di controllo. Anche, persistentemente, quando le sconfitte pesanti incominciano ad essere più di una, e i pericoli all’esterno sempre più terribili. Anche quando è chiaro che rischia davvero di finire tutto, e molto presto.
Serve a qualcosa l’egemonia senza leadership? Serve a qualcosa tenerli tutti “per le palle” se poi non vuoi portarli con te da nessuna parte? Speriamo vinca Schulz
🙂