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Sulla nuova legge elettorale

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Tra giovedì 1 giugno e venerdì 2 giugno

Una legge elettorale basata sul disvalore.

Se sai che sia tu che il tuo partito siete impopolari nel “tuo” collegio, ti conviene farti mettere secondo o terzo nel listino bloccato. Così magari, invece di conquistarti consenso sul campo, “te dice culo” e vieni eletto.

Al contrario, se invece sei un giovane fenomeno che vince in un seggio all’inizio considerato come inavvicinabile, e magari vinci di solo un punto, potrebbe capitare che “te dice male” e rimani a casa.

La nuova legge elettorale, inoltre, è un affarone per il Movimento Cinque Stelle (così come per Forza Italia), che non deve neanche fare lo sforzo di trovare persone normodotate da candidare nei collegi uninominali, e può far entrare invece in tutta scioltezza i suoi “leader” candidandoli come capolista nei plurinominali. Perché tanto conta il simbolo, come la maglia per i tifosi.

Ed è un danno per il Partito Democratico, o in generale per quei partiti che comunque ci tengono – almeno in teoria – a candidare personcine affidabili nei territori a prescindere dal simbolo che si portano appresso.

EDIT: Secondo Repubblica nella giornata di domenica 4 giugno sono stati tolti i capolista bloccati. Invece, è solo cambiata la modalità di assegnazione, per fortuna. 

Che vuol dire “via i capolista bloccati”? Non è vero, dato che le liste per il proporzionale rimangono, appunto, bloccate, non essendoci le preferenze.

Invece si è scelto di togliere LA PRECEDENZA ai capolista bloccati (che era una vera porcata) nella assegnazione dei seggi, ma allo stesso tempo si riducono i collegi uninominali a 225 (1/3 della Camera), usando gli stessi che erano usati per il Senato col Mattarellum più di vent’anni fa. Come se la distribuzione demografica non fosse cambiata. Collegi enormi, d’altronde, il doppio di quelli britannici – che sono di quella grandezza, e non di più, proprio per far sì che il rapporto eletto-collegio sia reale.

Quindi tranquilli, i capolista bloccati entrano comunque. Ci sono anche molte più chance per i secondi, e non c’è neanche bisogno delle pluricandidature. Le segreterie avranno meno imbarazzo per la scelta. E la scelta uninominale rimane abbastanza una barzelletta.

Ah, ovviamente niente possibilità di voto disgiunto, perché “è troppo complicato, sai che confusione” (ma allora toglietelo anche alle comunali, no?): mai sia non poter fare campagna sul “voto utile”.

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Ancora con Blair? E la sfida di Corbyn 

Sì sì, con Blair il Labour vincerebbe le elezioni. Sì sì, il problema è “troppa sinistra”, anche per Miliband il problema era TROPPA SINISTRA!, sì sì. Mettete un Chukino – Umunna, che infatti si è cagato sotto – a guidare il Labour in questi ultimo anno e mezzo, e in questa elezione, poi vedete come va. Ma purtroppo l’esperimento non si può fare, non siamo in Westworld, quindi ogni parola è valida. Pace. 

Detto ciò. Personalmente ho “bocciato” (QUI) il corso di Jeremy Corbyn – dopo averlo sostenuto, non solo su Facebook, ma con un paio di voti ai due congressi in due anni del Labour – già qualche settimana fa. Jezza ha fallito, e salvo miracoli fallirà l’8 giugno per due motivi essenziali: 

1 – In un momento di incertezza enorme come questo, i britannici – popolo accorto anche quando fa cose pazzerelle come la Brexit – preferisce lasciare le chiavi della Vauxhall al partito visto come responsabile sia del problema che dell’eventuale risoluzione, al partito al governo, e quindi ai Conservatori. La scelta della May, abile affabulatrice e portatrice del nulla, ha riscosso successo. Il governo ha di fatto “blindato”, con una buona scusa – la Brexit – tutta la situazione politica del Regno. E i sondaggi che vedete ne sono la dimostrazione numerica, plastica, visiva. 

2 – La “persona” di Corbyn non piace. Punto. Inutile girarci troppo attorno, o provare a trovare particolari motivazioni antropologiche. Non piace per gli stessi motivi per cui non piaceva Miliband (un North Londoner con poco appeal fuori città) e per i motivi che avrebbero dovuto distaccarlo da Miliband – una vita intera da militante vero, serio, impegnato, quasi sempre nel giusto in momenti essenziali come durante la guerra in Iraq. 

Ero e resto convintissimo che una proposta radicale, che riprendesse campo nel Nord dell’Inghilterra in crisi, così come nel Sud-est che per un po’ è stato presidiato dall’Ukip, e in Scozia, dove la crisi del partito comincia anni fa, col blairismo imperante (altro che con Corbyn!), fosse necessaria e giusta per il Labour. Semplicemente la storia ha fatto il suo (cattivo) corso e Jeremy Corbyn non era la persona giusta per incarnare quella proposta. Per non parlare della continua e sporca guerra interna al partito, risoltasi in una ricandidatura alle prossime elezioni degli stessi parlamentari che erano candidati nel 2015, con un programma simile a quello di Miliband, moderatamente socialdemocratico. 

Ma smettetela con la nostalgia, per carità: sono passati venti lunghissimi anni dal ’97, e da tutto ciò che nel ’97 ha dato vita al blairismo, a quel modo di vedere e guidare il mondo.

Ha ragione Jacobin Magazine: Corbyn facesse ciò per cui lo hanno eletto leader in prima istanza, cioé una campagna elettorale radicale e “sovversiva”, come dice anche Finkelstein del Telegraph, e la smetta di cercare il consenso del “centro” del suo stramaledetto partito, che possibilmente è ancora più tossico di lui stesso. 

Perderà, probabilmente anche male, e dovrà ritirarsi. Ma avrà messo delle idee utili in circolo.

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ANALISI — SONDAGGIO sul futuro della SINISTRA e del CENTROSINISTRA

Nella scorsa settimana ho messo su, per un esercizio didattico così come un po’ per gioco, un sondaggio di 10 domande sul futuro della sinistra e del centrosinistra: cause della crisi, temi, parole d’ordine, ma anche leader, partiti e coalizioni.

Dopo tre giorni, il gioco è diventato abbastanza serio e ha raccolto ben 500 risposte. Sebbene il sampling – il campione – dei rispondenti al sondaggio sia per forza di cose viziato dalla mia “bolla”, cioé dalla mia bacheca Facebook e dai gruppi con cui interagisco sul web, i dati raccolti permettono comunque di ricavare qualche correlazione interessante.


1 – Posizionamento

Questo soprattutto grazie alla prima domanda, che ha permesso ai partecipanti di definirsi politicamente scegliendo tra alcune opzioni. Questi i risultati:

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2 – Le cause della crisi

La seconda domanda chiedeva di mettere in ordine un numero limitato di cause – quattro – della crisi globale della sinistra e del centrosinistra oggi. La crisi economica e finanziaria, così come la frammentazione della classe lavoratrice risultano quasi alla pari, poco sotto la debolezza dello stato-nazione. L’immigrazione e il multiculturalismo, invece, per il campione interrogato dal sondaggio, sembrano essere viste come cause meno importanti:

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Tuttavia, se analizziamo le risposte date da chi si definisce liberal, liberale sociale, riformista, vediamo che la crisi economica e finanziaria sembra essere vista come la causa maggiore della crisi di sinistra e centrosinistra:

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Le cause della crisi, per i liberal

Per chi si definisce invece di sinistra, anche radicale, è il declino e la frammentazione della classe lavoratrice la prima problematica:

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Le cause della crisi, per la sinistra


3. Qual è il problema?

Perché la sinistra e il centrosinistra non riescono più a vincere le consultazioni elettorali? O, se non altro, fanno sempre molta fatica? La risposta più popolare e’ di gran lunga la distanza dai problemi della gente comune. 

Tra le altre risposte, le due piu’ comuni risultano invece la frammentazione interna e l’incapacità di riforme strutturali che superino/limitino gli effetti distorsivi del liberismo/capitalismo.

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4 – Le priorità

Su cosa dovrebbero concentrarsi sinistra e centrosinistra nel prossimo futuro?
Redistribuzione, diritti sociali e libertà civili vanno ancora per la maggiore.

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Tuttavia, possiamo notare delle differenze interessanti quando andiamo a vedere quali sono le priorità di chi si posiziona più a sinistra, per i quali il reddito minimo risulta in una posizione relativamente alta..

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Le priorità per la sinistra

..e le priorità di coloro che si definiscono liberal, più attenti ai bisogni delle imprese, così come a meritocrazia, efficienza, libertà individuali. Una soluzione come il reddito minimo risulta invece fortemente impopolare.

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Le priorità per i liberal

È interessante a vedere quali sono le priorità degli altri, cioé di chi si definisce di centro, di centrodestra, di destra, o né di destra né di sinistra, sebbene abbiano risposto in numero esiguo. Queste sono piuttosto simili a quelle dei liberal, con una maggiore attenzione alla libertà d’impresa, ma tuttavia senza sdegno per il reddito minimo.

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Le priorità degli altri


5 – La parola d’ordine

Con la quinta domanda ho cercato di capire quale dovrebbe essere la parola d’ordine che più deve caratterizzare la sinistra del prossimo futuro. Uguaglianza e Lavoro giocano ancora la parte del leone, ma anche sharing / condivisione ottiene un ottimo risultato. Tra le altre risposte, figurano invece soprattutto sviluppo e crescita, dignità e solidarietàsocialismo.

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Ancora una volta, vale la pena guardare alle parole preferite da chi si definisce liberal, per i quali l’Uguaglianza scala in terza posizione, preceduta da Lavoro e Sharing / Condivisione. 

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Le parole dei liberal

 

Interessante vedere come per la sinistra l’Uguaglianza superi il 40%, staccando il Lavoro.

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Ed è ancora più interessante vedere come per gli altri (centristi, destra, indipendenti) la parola Condivisione desti un certo interesse.

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6 – Quale leader (di coalizione e non)?

L’ex Premier e Segretario del Pd Matteo Renzi rimane il leader più popolare, ma è tallonato dall’ex Sindaco di Milano Giuliano Pisapia. A distanza seguono Civati, Orlando e De Magistris. Tra gli “Altri” prendono più voti Enrico Letta e Nicola Zingaretti. 

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Tra chi si definisce Progressista, Socialdemocratico, “di sinistra-centro” (oltre il 40% del campione) è Giuliano Pisapia a sfiorare il 30% dei consensi, mentre Renzi e Orlando sono appaiati poco sopra il 15%.

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Tra i liberal riformisti Renzi è invece quasi al 60%. Tra gli “altri” c’è un quasi-monopolio di Enrico Letta. 

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Infine, a sinistra, possiamo notare com’è ancora lontana la definizione di una leadership chiara. Anche tra gli “altri” è popolare il commento “Nessuno, ancora”. Interessante notare, nonostante il campione limitato, come Giuliano Pisapia – che ha sempre chiaramente espresso la volontà di formare una coalizione che comprenda il Pd – sia comunque considerato al pari di un leader di una forza autonoma, come Giuseppe Civati.

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7 – In Italia, quale coalizione?

Ho chiesto con quale assetto si preferisce che la sinistra o il centrosinistra vada alle elezioni.

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I liberal riformisti preferiscono che il Pd vada da solo, poco sopra un’opzione di coalizione.

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La sinistra, invece, preferisce in maggioranza una rottura netta col Partito Democratico, ma non disdegna una coalizione progressista.

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8 – Come andrà a finire? 

È interessante misurare quali sono le aspettative rispetto ai risultati di ogni diversa coalizione considerata nella domanda precedente. È la coalizione progressista di centrosinistra col Pd l’assetto che si crede più “performante”, ma viene creduto comunque difficile che essa possa arrivare al 40%.
La coalizione di sinistra senza il Pd è vista da più del 90% dei rispondenti sotto il 20%, mentre il Pd da solo è visto da più dell’80% sotto il 30%. 

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I liberal sono generalmente più ottimisti, sia per quanto riguarda il Pd da solo che per un’eventuale coalizione del Pd con la sinistra e i centristi.

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Interessante vedere i rispondenti fuori dallo spettro di centro e centrosinistra, i quali danno più chance di buon risultato a una coalizione centrista che a una progressista.

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9 – Le primarie del Partito Democratico 

È il non voto a vincere di gran lunga nella contesa, sfondando il 40%. Segno di disaffezione alle vicende interne del partito più importante del centrosinistra? Un po’ sotto, Orlando sfiora il 35%, Renzi supera di poco il 20%, ed Emiliano non arriva al 5%.

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Tra i progressisti Andrea Orlando sfiora il 50%, Renzi va sotto al 10% ed Emiliano arriva al 7%. I “Non voterò” superano il 30%.

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Tra i liberal Matteo Renzi è al 56% e Orlando al 22%.

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È a sinistra che l’astensione sfonda il 70%, Orlando si ferma al 25% e sia Renzi che Emiliano fanno giusto il 2,5%.

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10 – Qualche minima correlazione (ma facciamone altre!)

Il gruppo di rispondenti che si sono definiti “Liberali sociali, riformatori, di centrosinistra” corrispondono in gran parte al gruppo che sosterrebbe Matteo Renzi sia alle prossime primarie del Pd che, in generale, come leader di un’eventuale coalizione.

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Il posizionamento politico degli elettori di Renzi e Orlando alle primarie Pd

È da notare inoltre come i sostenitori di Renzi come segretario del Pd lo vedano senza alcun dubbio anche come un leader di coalizione, come un “leader elettorale”. La maggioranza relativa di chi sosterrà Orlando, invece, si affida a Pisapia.

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Passando, appunto ai tre leader più supportati dal mio campione (Matteo Renzi, Giuliano Pisapia e Giuseppe Civati), così si definiscono i loro supporter:

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E questo è ciò che faranno il 30 aprile alle primarie del Pd:

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C’è un numero letteralmente infinito di correlazioni con cui giocare: non esitate a chiedere. Grazie per la lettura e per la partecipazione al sondaggio!

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Pierluigi Bersani e il M5S, partito di “centro estremo basso”

Come sa chi mi ha letto qualche volta a riguardo, considero Bersani un politico fondamentalmente rancoroso, che ha sbagliato molto, e che non può dare troppe indicazioni sulla direzione da seguire per un futuro centrosinistra, o sinistra, o qualsivoglia coalizione progressista.

Detto ciò, nell’intervista di cui si parla tantissimo oggi (un colloquio informale, riportato in forma “romanzata”, diciamo, da parte di Verderami: http://www.corriere.it/…/bersani-cinque-stelle-8499dbd2-0e7…), Bersani dice delle cose interessanti, originali, affatto banali sul Movimento Cinque Stelle. Che vengono riportate in modo macchiettistico: una reazione che non sorprende.

Dice, innanzitutto, che il Movimento «sarà pure solipsista, ma va tenuto dentro il circuito democratico». Vero. Vogliamo creare un recinto per caso, una riserva in cui tenere i “terribili grillini”, sia elettoralmente – con l’inevitabile risultato di farli crescere ancora, di numero e di rabbia – sia politicamente – riuscendo a validare l’assunto di casta e popolo, nonché ogni loro posizionamento contingenziale? O vale forse la pena di provare a scardinare la loro eccezionalità, di provare a “fregarli” nel bene, piuttosto che nel male, su alcuni contenuti? Impresa ardua, quasi impossibile, come Bersani stesso verificò precisamente 4 anni fa. Ma che lo stesso Bersani – e in questo, la “generosità politica” dell’uomo è rara – non si sente di ripagare con la stessa moneta.

«D’altronde, una forza che raccoglie al primo colpo il 25% dei consensi non è un fenomeno transitorio. Anzi loro sono il partito di centro dei tempi moderni. Anche perché i moderati non sono come si prova a rappresentarli oggi.» Stiamo attenti a cosa puòv voler dire “partito di centro dei tempi moderni” (e non so dove molti dei grandi esegeti abbiano letto che Bersani lo definisce “centro liberale”). Per Bersani – e proviamo a dargli torto, su questo – i “tempi moderni” sono tempi in cui la cui cifra stilistica, comunicativa della politica è il populismo, in cui il livello di sfiducia e negatività nei confronti delle istituzioni è a livelli esagerati, in cui le forze progressiste e liberali sono quantomai in difficoltà.

Qualche anno fa Casapound ebbe l’idea simpatica di definirsi ESTREMO CENTRO ALTO. Si sbagliavano: erano e solo semplicemente degli orrendi fascisti, brutti quanto la fame. Però si può prendere in prestito quella terminologia per parlare del M5S , “partito di centro dei tempi moderni” descritti sopra. Perché il Movimento Cinque Stelle è effettivamente un partito di CENTRO ESTREMO BASSO.

Di CENTRO, perché ogni posizionamento, dichiarazione, uscita dei suoi rappresentanti è esattamente al CENTRO del brutto mainstream di questi tempi. Nonché per il fatto che da sempre il grillismo raccoglie istanze più tradizionalmente di sinistra abbinandole a prese di posizione della destra giustizialista e legalitaria.
ESTREMO, perché ogni posizione è portata appunto all’esagerazione, al paradosso, allo “sfondone”, ad un pericoloso – appunto – estremo.
BASSO, perché il linguaggio, gli istinti, le tendenze – soprattutto nei momenti “topici” – del Movimento assecondano il linguaggio, gli istinti, le tendenze di un popolo ridotto a plebe.

Che fine ha fatto “il popolo dei moderati” di berlusconiana memoria? Alcuni – oserei dire “i più fortunati” – sono confluiti nel Pd di nuova generazione. Altri, sono rimasti nel centrodestra, a sud con Forza Italia e a nord con la Lega. Tutti gli altri? Sono lì, sono proprio lì, hanno raggiunto gli incazzati, i deindustrializzati, i giovani senza speranza. I moderati si sono incazzati e hanno raggiunto quelli che più hanno motivo per esserlo. «Eppoi i moderati incazzati non sono una novità, visto che agli inizi del Novecento Camillo Prampolini si definiva un “moderato rabbioso”», dice appunto Bersani. La citazione pare appropriata.

Considero il Movimento Cinque Stelle un movimento che alla fine toglierà completamente la maschera, come già fa sempre più spesso (vedere Genova, che riguarda un caso di democrazia interna, ma ci sono stati episodi più inquietanti), rivelandosi compiutamente come un movimento di DESTRA REAZIONARIA.
Un movimento che avrà tradito la domanda di novità che lo ha spinto alle origini, quella domanda che con miopia il Partito Democratico di Bersani – appunto – non aveva avvertito e riassorbito. Un fenomeno pericolosissimo, qualora riuscisse a saldarsi con le forze più classicamente di destra che pure sono fortissime nel nostro Paese.
In questo, il tentativo – a mio avviso goffo, tardivo, disperato e vano – di creare le condizioni affinché il “partito di centro estremo basso” si allei – in Parlamento, ovviamente – con la sinistra, piuttosto che con la destra, ha almeno il merito della fantasia politica.

Qual è la risposta del Partito Democratico, o di una eventuale coalizione di centrosinistra che voglia sfidare frontalmente, ed elettoralmente (eventualità che preferisco alla desistenza, sia chiaro) il grillismo? Qual è la strategia per evitare che il partito di centro estremo alto diventi compiutamente quella forza di destra reazionaria che in pochi denunciavamo anni fa, ma che ora pare che in molti abbiano compreso? Cosa si vuole proporre, una vecchissima “Santa Alleanza dei Responsabili Patrioti” con le mani e la testa piene di tutto e niente? E come? Sposando e adottando di fatto la categoria del BASSO nella comunicazione e negli argomenti (ma la campagna per il SÌ ce la siamo scordata? anche io, erroneamente, pensavo potesse funzionare)? No, personalmente non credo siano opzioni di successo.

Allora non è che forse vale la pena immaginare politiche, parole, alleanze e posizioni nuove per la sinistra? Bersani, goffamente, oggi ha il merito di fare questo – per una volta! La gran parte di noi, in tutta risposta, lo prende in giro. Lo tratta come un nemico, come il VERO nemico, quando in realtà è solo un zio rancorosetto che a volte la dice giusta. Perché il nemico è la destra, è la reazione. Quella esplicita e quella che si sta per scatenare a partire dal “partito di centro dei tempi moderni”.

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Lo ammetto, il proporzionale mi attizza. Ma..

In Olanda i liberalconservatori ottengono 33 seggi. I democristiani 25. In totale 58 seggi per un teorico centrodestra olandese. Il centrosinistra, in tutte le sue quattro o cinque forme (il fallimentare PvDA, i GroeneLinks, i Socialisti hardcore, Van der Dieteren e, perché no, il Denk, socialdemocratici “etnici”) ne prende più o meno lo stesso numero – forse leggermente di meno – e di governare non se ne parla proprio. 
Il proporzionale purissimo mi attizza, insomma, come ho detto prima, perché permette me e quattro amici al bar (senza Marra e Romeo, possibilmente) di fare un partitino ideologico, identitario, iper-progressista, che promuova un’agenda avanzatissima e che entri in Parlamento con l’1%. A rappresentare la nostra gente con le nostre idee. 

La “frammentazione” – che in realtà è la quintessenza della rappresentanza, Dio solo sa quanto la gente ne abbia bisogno – è cosa bella è piacevole, ma come la mettiamo, a sinistra, con l’attrezzarsi per cambiare le cose, qualsiasi cosa? No, perché al governo dell’Olanda non ci sono andati gli stronzi, certo, ma ci rimangono gli stronzetti.

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Napoli, Salvini, il basso cabotaggio di De Magistris


Francamente non credo che, come dicono in molti, il consenso per Salvini sia aumentato, oggi, a causa di quelle manifestazioni violente. Né a Napoli, né in nessun’altra parte del Sud, né d’Italia. Non credo neanche che Salvini stia passando da povera vittima, dato che è e ormai appare sostanzialmente come un provocatore, costitutivamente fiero di essere tale. Non è un caso che non vada oltre al 12, 13% di consensi, almeno nei sondaggi – grillismo permettendo. Non è un caso che Salvini non faccia mai QUEL salto di qualità. Perché Salvini è quello che è: un razzista piuttosto ignorante, continuamente in televisione, che ha di fatto tradito il senso stesso della formazione che guida, a cui neanche ha il coraggio di dire la verità. 
La manifestazione violenta, disordinata, indisciplinata, è più che altro dannosa per chi l’ha promossa. Per i valori che si volevano difendere. Per un capopopolo che, così come alle scorse elezioni, con quelle terribili “guardie popolari” di fronte ai seggi, dovrebbe imparare ad esserlo e farlo davvero, il capopopolo. Come facevano i comunisti nelle borgate putride e disastrate della Roma del dopoguerra. A guidare fisicamente, a prendersi le proprie responsabilità, a trasformare la plebe in comunità e poi in classe. Giggino il capopopolino, invece, non era neanche lì, alla manifestazione, dopo aver chiamato le sue truppe malvestite alla rivolta. 

De Magistris, insomma, alla fine si dimostra solo un altro investitore politico di bassissimo cabotaggio.

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Renzi al #Lingotto17: bene, ma.. “chi ce crede”? 

Ho ascoltato il discorso di Matteo Renzi al #Lingotto17.

Bene l’aver detto che anche la tecnocrazia (e la burocrazia, ma quello è un classico) è antipolitica.

Bene la proposta di fare delle primarie europee all’interno del PSE – anche se poi non ce la fa proprio a non provocare nominando Macron… E vabbe’. 

Bene il focus sul Mediterraneo e l’Africa.

Bene la centralità dell’Europa, e la scuola nel carcere di Santo Stefano a Ventotene. 

Bene la visione critica sul “tema della flessibilità”. 

Bene la presa d’atto – e buongiorno, eh, Matte’! – che dall’inizio della crisi in poi sia in atto un profondissimo cambio di paradigma. 

Parecchi occhiolini alla tradizione della sinistra – e la Festa dell’Unità, e il “compagno”, e la necessità di collegialità all’interno del partito, e la “dimensione umana dei circoli”… Sì, sì, ok. E poi il rilancio della scuola di partito – la Frattocchie 2.0, che si spera non sia ancora una volta un club di.. Referenti, sì, referenti (cit. Livio Ricciardelli, sennò mi querela).

In conclusione, dopo una carrellata di consumati (anche troppo) cavalli di battaglia, arriva anche l’evocazione di “identità” e “patriottismo” – però dolce – come elementi da ricongiungere alla sinistra. 

Mo’ bisogna capì chi ce crede, a tutte queste belle cose. Ma soprattutto, bisogna capire chi ci crede fuori dal Partito Democratico, non dentro, dato che le primarie sono molto probabilmente già in tasca. 

E per “chi ce crede”, sia chiaro, non intendo che lui stesso non creda a quello che dice – perché evidentemente ci crede, a quello che dice. Ma parlo proprio di una ovvia questione di credibilità dovuta al fatto che fino a tre mesi fa Matteo Renzi era il capo del Governo, e fino a un mese fa il leader del partito che si accinge a riconquistare. 

Sicuramente uscirà molto corroborato da questa tre giorni – “Io ci sono, anche con le mie cicatrici” (ellamiseria..), il (futuro) Segretario del Pd. I problemi più grandi, però, per quel che resta del centrosinistra, a mio avviso restano tutti lì. 

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​#LOTTOMARZO: QUANTI REAZIONARI

Mammamia quanti reazionari levano la maschera all’avvicinarsi di ogni sciopero o manifestazione o qualsiasi minimo segno di lotta. Prima di una cosa come #lottomarzo, poi, i Guardiani della Reazione scoprono la loro espressione più virulenta, e ce la mostrano con tutto loro stessi. 
Ed è bello vederli ammucchiarsi – questi teorizzatori di una miserevole guerra tra poveri come igiene di non si è ben capito quale mondo – soprattutto tra la sinistra che “non si arrende”, che “non ha tradito”, che “non è subalterna al neolibbberismo” eccetera eccetera eccetera. 

Codesti prendono ad esempio e come primo nemico della loro subalterna lotta a non si è ben capito cosa, le frange più estremiste e ridicole (che ci sono, ci sono) di ogni movimento per la liberazione, e le usano per descrivere quel movimento in toto. E combatterlo, perché loro sono per il ritorno al vecchio mondo, dove l’uomo fa l’uomo la donna fa la donna l’operaio fa l’operaio e il padrone fa il padrone ma non va combattuto troppo, eccetera eccetera eccetera. 

È bello vederli ammucchiarsi, questi plebeisti che trattano la gente come se fosse deficiente – e va detto che a volte ci riescono. È bello perché chiarisce molte cose, è bello anche se fa un po’ schifo.

E poi ci sono quelli, conservatori nascosti anche tra questi finti liberali posticci del “rinnovato centrosinistra* – così dicono – che fingono la solidarietà per le povere donne danneggiate dallo sciopero delle donne. Cioè, per le povere donne che non sono solidali con le donne. Questi non sono niente di nuovo, e neanche niente di curioso: si chiamano semplicemente krumiri.    

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Il cambiamento ci è entrato dentro 

La voglio dire in termini da scuole elementari, anche perché purtroppo non ho studiato la filosofia. “La sfida di oggi è, come sempre, anche stavolta, tra CONSERVAZIONE e CAMBIAMENTO”, si dice. 
Io non credo, perché “il cambiamento”, di paradigma, di sistema, di equilibri nazionali e globali (da Capitale vs Lavoro a Capitale vs Reddito, l’enormità della rivoluzione digitale, Trump e la Russia, la Cina e l’India, l’Europa a pezzi) ci è già entrato dentro, è sotto la pelle della nostra generazione. 

“Il cambiamento” è una condizione e una sensazione diffusa, insomma, ma mentre nel passato esso significava quasi sempre, e almeno apparentemente, un avanzamento e miglioramento delle condizioni di tutti (da Reagan a Obama, o da Prodi a Berlusconi, cercando di essere il meno partigiani possibile), oggi può significare anche altro. 

Cosa fare di questo cambiamento ineluttabile, dunque? Alcuni, molti, lo stanno interpretando come una REAZIONE. Cioè un ritorno ad un passato più o meno recente, più o meno glorioso, ma interpretato da un senso comune strisciante come una condizione migliore, e più facile da ottenere, dell’attuale instabilità. Non serve fare troppi esempi, uno di questi “alcuni” è il Presidente degli Stati Uniti d’America. 

Altri, ancora pochi, voglio interpretare il cambiamento inevitabile come un’occasione quasi irripetibile di slancio rilancio creativo, di trasformazione generativa, di rimodellamento della società nel senso dell’innovazione e dell’inclusione con un orizzonte utopico, quello della liberazione. Dalla discriminazione, dall’ingiustizia, e perché no?, dal lavoro. È quello che io chiamo PROGRESSO. 

In questa nuova disposizione di forze, in questo rimescolamento, in questo scenario di cambiamento, chi sono oggi i CONSERVATORI? Molto semplicemente, quelli che non hanno capito che la storia non è, e non era, finita. E che nostalgicamente propongono un rewind, così da farla finire ancora. Non per tornare al passato, ma per (ri)costituire un eterno presente in cui si può ancora giocare binariamente a “cambiamento vs conservazione”, “nuovo vs vecchio”, “veloce vs lento”. Sono sempre di meno, i conservatori, e se non cambiano spariranno a breve. Non saranno di questa partita. 

Ce la farà, il progresso, a non farsi trasformare anch’esso in una forma diversa e apparentemente “più giusta” di reazione?