La cosa che mi preoccupa di più non è una scissione “nominale” del più grande partito di centrosinistra della storia italiana, francamente. Anche perché essa è fondamentalmente già avvenuta. Con la società, innanzitutto – ma questo è risaputo. Ma anche nelle parole delle persone che fanno della politica una parte importante della loro vita.
Il settarismo è una malattia sconvolgente. Che prende chi sta da una parte e chi dall’altra. Chi ha votato SÌ a dicembre e non vuole neanche più guardare in faccia chi ha commesso la lesa maestà di un NO. Chi ha rifiutato la riforma costituzionale e considera “incompatibili”, proprio antropologicamente, chiunque abbia fatto una scelta opposta. E quel maledetto referendum – maledetto, sì, per come è stato impostato su tutti i fronti – non è l’unico esempio di una frattura che sembra insanabile nel Pd, e nella sinistra (perché lo stesso vale fuori, tra chi dice “ragioniamo di una possibile collaborazione futura, non chiudiamoci” e chi va per l’all in – anzi, all out).
È per mia natura inconcepibile dire “Con quello non ci parlo” o “Con quello non voglio averci più a che fare”. A meno che non si tratti di situazioni estreme, personali. La politica, invece, che dovrebbe essere cosa seria, dovrebbe essere presa un po’ meno “sul serio”. E soprattutto dovrebbe fare più uso di un bene che mi pare drammaticamente deficitario: la fantasia.
Ci vuole un po’ di fantasia per immaginare soluzioni nuove per un mondo sempre più tetro che rischia di fare salti all’indietro di cent’anni. Ci vuole fantasia per far capire queste soluzioni nuove, di solito di difficile realizzazione, a chi al momento non è per nulla interessato. Ci vuole un po’ di fantasia, poi, per immaginare di poter stare insieme, amche tra qualche mese, anno, con chi oggi ti sembra lontanissimo.
Faccio solo un esempio, ma sappiate che si può riprodurre in egual modo dall’altra parte.
La “sinistra”, in qualunque modalità o contenitore essa si stia declinando, ha oggi un pallino fisso. Che forse non l’unico, ma è sicuramente il più limitante allo scopo di una futura, eventuale, improbabile unità delle sinistre.
Questo pallino fisso è la necessità di una ABIURA del renzismo, una presa di distanze nettissima e definitiva da parte di chi lo ha anche momentaneamente sostenuto. Ecco, per far produrre a questi ultimi la distanza, bisogn dar loro un’alternativa valida ed entusiasmante, che possa contendendere. C’è? Forse c’è, ma ancora non è chiara. Ed è sicuramente troppo multiforme.
Insomma, un appello. Non parliamo del tema “chi prende le distanze”, ma del tema “far prendere le distanze”. E di come ci si possa riuscire. Perché se incominciamo ad escludere da ogni discorso futuro chi ha fatto, o pensato, questo o quello nel recente passato, il più delle volte in buona fede, non si va davvero da nessuna parte. E diciamo che il mondo ha sempre meno spazio per noi, se ancora non ce ne siamo accorti.