Nella mia corta ma abbastanza soddisfacente carriera accademica, mi trovo a un certo punto a seguire un corso chiamato “Celebrity”, tenuto da Chris Rojek al dipartimento di Sociologia della City University di Londra. La succitata serie di lezioni della durata di due ore ci invita dapprima a scoprire i caratteri sociologici e mediatici di quel fenomeno che chiamiamo appunto “celebrità”, le sue categorie e differenziazioni, nonché la sua vera e propria fenomenologia, poi a discuterne in classe tra i venti o trenta partecipanti. Alla fine del corso scrivo un essay – un saggio accademico -, nel quale passare in rassegna uno dei temi affrontati durante le lezioni e trovarvi un caso corrispondente nel mondo reale.
Scelgo di parlare di Mohamed Emwazi, ragazzo di famiglia kuwaitiana, cresciuto ed educato nel centro di Londra sino alla laurea in informatica alla Westminster University. Dopo una serie di viscissitudini – che passo in rassegna qui, oltre a tutto il resto – il ragazzo si ritrova vicino a gruppi islamici radicali e infine, nel Febbraio di quest’anno, ad essere riconosciuto come Jihadi John, il tristemente noto “sgozzatore” dell’ISIS comparso in tutti gli schermi occidentali sin da Agosto del 2014. Analizzo Mohamed come se fosse una celebrità, più nello specifico un long-life celetoid – un celetoide, una pseudocelebrità, dalla ‘lunga durata’ -, e appoggiandomi retoricamente al modo in cui chiamiamo colloquialmente le celebrità, ossia ‘stelle’, descrivo Jihadi John come un tipo particolare di star, un ‘buco nero’. Sempre un punto fisso a cui guardare, ma non di luce splendente e piacevole come può essere una celebrità dello spettacolo o dello sport, bensì un oscuro e terribile vortice nel quale i più basilari valori occidentali vengono risucchiati senza alcuna pietà, col sangue. In ogni caso un’icona, una tremenda icona pop di cui tutti hanno fissa in mente almeno un fotogramma.
Oggi Repubblica.it pubblica sui suoi profili social e sulla sua homepage l’ennesima galleria fotografica ritraente Kim Jong-un, il buffo dittatore nordcoreano, alle prese con qualcosa di ormai inimmaginabile nel nostro stanco mondo: la celebrazione del 70esimo anniversario della nascita dell’inscalfibile Partito dei Lavoratori dell’estremità settentrionale di quella penisola ad Estremo Oriente. La bellissima moglie Ri Sol-ju, le avvenenti majorette – o qualcosa di simile – della popolarissima girl band Moranbong, il coro e l’orchestra dell’Armata Nordcoreana al gran completo in posa con la coppia e impegnata nella performance con le ragazze di cui sopra. Ora, sperando davvero che Kim Jong-un non venga a sapere di questo umile blog e si infastidisca per queste informalità, le foto sono semplicemente meravigliose. Così come le innumerevoli altre uscite in questi anni, nelle più disparate e scenografiche pose che un Ministro della Propaganda possa immaginare (per gli amanti del genere, Buzzfeed ne ha fatto una gustosa collezione, così come il Telegraph).
Di Kim Jong-un sappiamo pressoché solo quello che ci raccontano i “dispacci” occidentali, fatti tanto verosimili quanto assurdi e per questo così irresistibilmente di intrattenimento. Descrivono un dittatore sanguinario e capriccioso, che alterna le sue giornate tra un’esecuzione e l’altra, e per i motivi più disparati. Di un generale per aver abbozzato un sorriso al suo passaggio, come di uno zio fatto sbranare dai cani: Kim ne ha fatte di tutte e di più, ed ogni volta finisce nelle nostre prime pagine, soprattutto online. Possiamo verificare, possiamo vedere? No, meglio di no, e poi in fondo cosa importa? Perché Kim Jong-un è una icona, una celebrità, e – come di tutte le icone, altrimenti semplicemente non lo sarebbero – ne abbiamo un fottuto bisogno. La sua ‘incredibile’ narrativa è un rito demistificatorio, esorcizzante, di un tipo di potere che non conosciamo, fortunatamente, più. È il racconto dissacrante, pienamente inglobato nelle mediatiche dinamiche del mondo occidentale, di uno spauracchio antico come il nucleare.
Così come Jihadi John è il ‘buco nero’ che con maestria risucchia i nostri valori inscenando barbarie, Kim Jong-un è, e rimane, per negazione, la nostra unica ed inimitabile icona pop. Non te ne andare, Kim, abbiamo bisogno di te!