Un pezzo uscito lo scorso 17 dicembre sul quotidiano d’area (Pd) Europa rivelava che la costituency (quindi l’elettorato, l’humus sociale, le categorie) che aveva donato un trionfo a Bersani alle primarie del 2009 era praticamente la stessa che ha rivolto verso Renzi il consenso plebiscitario apprezzato l’8 dicembre. Nel 2009 il “nemico” -non solo elettorale, ma culturale, addirittura “morale”- per eccellenza del Partito Democratico non poteva essere che lui: l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Su di lui, tutta e continuamente, l’invettiva, l’attacco, il ludibrio, e forse anche pizzichi d’invidia: ogni democratico che si rispettasse non poteva che rivolgere pensieri e parole quotidiane al suddetto, e i dirigenti -locali e nazionali- usavano l’argomento per infiammare le (sempre più povere) folle dei comizi e delle iniziative.
Se c’era un elemento culturale altamente connaturato nella suddetta costituency del centrosinistra, ed esageratamente deleterio nei confronti dello stesso, ma che contemporaneamente faceva da colla scaduta -per tempi mai sufficienti a cambiare alcunché- per partiti, partitini e pezzi di partiti, questo era rubricabile come l’antiberlusconismo. Viscerale, “ideologico”, condito da ampie spruzzate di giustizialismo: un’attitudine quasi psichiatrica sia dell’elettore che del politico che ne sfruttava la forza attrattiva.
Matteo Renzi quell’elemento -e invero ci sta riuscendo, sia per suoi meriti che per cause fisiologiche dovute all’età dell’antagonista- aveva promesso di scardinarlo per sempre dalla malridotta cultura politica del suo schieramento. Eppure, ora, quell’atteggiamento di velata supponenza rischia di replicarsi, di evolversi, di traslare verso un nuovo obiettivo negativo: quest’ultimo, chiaramente, non può che essere il grillismo.
Il pericolo di queste ultime settimane di campagna elettorale è grande, e corrisponde ad un possibile ripiegamento, soprattutto nell’atteggiamento di chi la comunicazione non la gestisce in prima persona, ma che ne è poi l’operaio quotidiano, grazie ai social e al passaparola. Il cosiddetto “popolo democratico” sta cadendo nel tranello che fu di Berlusconi, e che Grillo sta replicando, seppur con forme diverse: che è quello di provocare, sparigliare, insultare, mentire spudoratamente, aspettando e ricevendo una reazione uguale -anzi maggiore- e contraria da parte degli opponenti, che ne amplifichi il messaggio -giusto o sbagliato, chi può dirlo? e in fondo, a chi importa?- a più non posso. E lo stesso vale per le continue gaffes messe in atto dai siddetti “grillini”, che in questi giorni sul web sono più virali anche di culi e gattini.
E’ quello che accade quando Grillo spara dal palco che il M5S prenderà l’89%, o che costruiremo case con la stampante 3d, e fiumane di elettori Pd sui social in tutta risposta lo deridono e continuano a deriderlo per giorni. O quando un’oscena infografica condivisa dal “cittadino” di turno diventa motivo di ludibrio per le scorrettezze grammaticali, geografiche, grafiche, o squisitamente politiche.
Ed è anche e proprio così che Grillo, tra chi ha meno capacità e possibilità di analisi, detta l’agenda. E vince. Proprio come è stato per Berlusconi, per un periodo lunghissimo.
Renzi dovrà stare attento che il popolo che ha conquistato non cada nello stesso tranello di sempre, teso stavolta da un nemico diverso. Dovrà riuscire a modificare, nella cultura della sua costituency, quell’atteggiamento che non cambia. Quello che alla lunga stanca e logora qualsiasi leader e formazione. Quell’atteggiamento che alla fine dei giochi, inevitabilmente, fa perdere.
Nicolò Scarano
@nicoloscarano