Qualche giorno fa Gilioli sull’Espresso commentava sommessamente, con gelida rassegnazione, la notizia dell’ennesima “rottura a sinistra”. Quella, in due, di Sinistra Critica (mi si scusi il refrain), l’ultima costola realmente marxista e anticapitalista, guidata dal vulcanico Rizzo, di Rifondazione Comunista. Praticamente la scissione in due di uno degli elettroni ruotanti attorno a quell’atomo di consenso che ormai il partito di Ferrero conta di rappresentare.
Posto che chiaramente la notizia in sé non sposti molto negli equilibri politici nazionali, essa in sé contiene e racconta uno dei germi storici che ha dannato e continua a dannare il progressismo italiano, in maniera ancor più lacerante dopo la fine del Pci.
É lo stesso germe che rischia di minare ancora una volta un auspicabile patto fra le sinistre che devono prepararsi ai prossimi turbolenti (ma davvero??) tempi della politica nostrana. Un sentore di ciò viene dalla crescente ostilità verso Sel (che, se non consideriamo il disastro delle elezioni politiche, peraltro attribuibile in misura preminente al Pd, é praticamente stata la “parte solida” dell’alleanza di centrosinistra in gran parte delle amministrative) della parte più liberal del Pd, quella che ha guardato a Berlusconi tre mesi fa salvo poi gradualmente rinnegarne il rapporto di governo, e che ora si appresta ad “inglobare” il malcelato liberismo della carrozzina di Monti (che in un paese vagamente sano, sarebbe il leader tecnocratico di una destra sì riformatrice, ma pur sempre destra liberale).
Ma ancor di più il “germe” lo abbiamo visto manifestarsi sulle pagine di giornale che circa una settimana fa narravano dei progetti, ormai quasi espliciti, dei due personaggi “simbolo” di una sinistra che potremmo definire extra-parlamentare. L’uno, Maurizio Landini, l’amato segretario della FIOM della cui entrata in politica da parecchio si discetta. L’altro, Stefano Rodotà, il fu candidato Presidente della Repubblica del M5S, elevato -giustamente, a mio avviso: ben vengano le congiunture di questa pazza politica se servono a riscoprire personaggi di tale levatura- a “leader morale” di una sinistra che doveva essere ricostituente e dialogante.
I due, se le indiscrezioni si rivelassero concrete, starebbero per lanciare un “nuovo” progetto politico, e fin qui nulla di male. Ma anche elettorale: un partito sostanzialmente. “Lavoro e Legalità”, o “Lavoro e Costituzione” il nome.
E qui secondo me c’è un problema.
Il fatto é che non se ne sente proprio il bisogno. Di un’altra compagine, di un’altra tribuna frazionale, di un’altra marginale lista a sinistra. Che istanze potrebbero portare, in più, da soli, Landini e Rodotà? Cos’hanno da dire di nuovo? Probabilmente ancora qualcosa, e ci sarebbe da ribadire con più forza qualcosa di “vecchio” ma da sempre ignorato. Ma c’è davvero bisogno di un altro partito?
No. L’iniziativa sarebbe inutile, anzi dannosa. Creerebbe un’area ancora una volta esterna al centrosinistra, quello che é invece dovere storico ricostruire.
Poniamo che resusciti l’alleanza Pd-Sel ad eventuali prossime elezioni, o che -eventualità persino più auspicabile- Sel si “rimescoli” nel Pd: come si porrebbe il nuovo partito? Quale sarebbe la differenza di posizionamento di questo con Azione Civile di Ingroia, o Rifondazione? Come riuscirebbe ad essere in qualche modo “servibile”, al centrosinistra come al Paese?
Sarebbe capace di collaborare proficuamente con un Pd eventualmente guidato da Renzi? O si emarginerebbe in un’improbabile e sciagurata rivisitazione dell’invernale Rivoluzione Civile?
Proprio per il suo essere un “corpo esterno”, anche in un Pd guidato da Civati vi sarebbero parecchie frizioni nella scelta di allearsi o no con l’eventuale “cosa” di Landini e Rodotà. E neanche io, che sempre professo la necessità di una nuova unità a sinistra, la sosterrei. Sarebbe soltanto una zavorra. E non si tratta di riformisti contro massimalisti: non qui, non stavolta.
La sfida, ora, é un’altra, e siamo sempre di più a rendercene conto. Il folle sogno di uno come Pippo Civati é quello di portare tutto questo in un posto, nello stesso posto. Eliminare i frazionamenti perdenti. Spostare via dall’emarginazione alcune di quelle idee, a cui tanto teniamo e che tanto da alcune frange sono erroneamente ormai snobbate, vituperate, bollate come retrograde. Riportarle “a casa”, per farle partecipare a una nuova sintesi che non può più rinunciare neanche a un’ottica “equamente” liberale. Solo all’interno del Pd, e sopratutto al Congresso del Pd, in quanto atto che deve essere davvero “rifondativo”, le idee di Landini e Rodotà possono contare qualcosa in un’ottica di centrosinistra, in un’ottica di governo (perché, ancora, é solo finalmente governando che può davvero cambiare qualcosa).
Dividersi, distinguersi, testimoniare, ripararsi dietro sigle, simboli e buoni nomi non serve più a nulla, se mai a qualcosa é servito.
A chi, nelle prossime settimane, dirà: “Il Partito Democratico, il centrosinistra, non mi rappresenta perché non tiene conto di quell’idea, di quel bisogno, di quell’istanza, di quella -perché no- tradizione”, rispondiamo forte: “Partecipa dunque, vieni a portare la tua idea, la tua sensibilità, la tua persona al servizio di un progetto: vedrai che conterà”.
Perché questo é il lucido sogno folle di Pippo Civati, ed aiutarlo é doveroso.
Un illuminante Giulio Cavalli ha scritto qualche giorno fa:
“Ci sarebbe da chiedersi se è normale, in un sinistro tempo di “larghe intese” non riuscire nel frattempo ad intendersi nemmeno tra noi, tra i più prossimi di noi o almeno tra gli aderenti alla stessa idea; dovremmo sapere dove sta il granello che ogni volta inceppa il meccanismo della risoluzione per accanirsi nella differenza che nessuno vuole sciogliere.”
Sciogliamoci un po’: gli uni negli altri.