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La lettera di Michele 

Michele non lamenta una condizione economica particolare, o un’invidia nei confronti di altri, e non nomina mai il fantomatico ruolo dello Stato nel perché della sua condizione lavorativa. Non nomina neanche proprio mai lo Stato, a dirla tutta, se togliamo il P.S. su Poletti. Ripete più volte, piuttosto: “Non posso pretendere, non posso pretendere niente”. 

Credo che la situazione sia stata più complessa, anche a livello personale, ma che si possa estrarre dalla storia una riflessione in particolare. E cioè che per molti l’ideologia del “massimo” da raggiungere ad ogni costo, così come l’ossessione del “vincere” (ma contro chi? o cosa? a quale gioco?) non sono più sostenibili, nell’era un po’ crepuscolare che ci ritroviamo a vivere. 

Così si arriva a chiedersi “ma chi me lo fa fare?”, e si sceglie lucidamente di mollare. E la logica dietro – come riconosce lo stesso Michele – è straziante ma cristallina. Perfettamente cristallina. 

Perfettamente logico, ma affatto giusto. La giustizia non è logica.

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