John Bercow è un gigante. Perché una cosa è riconoscere la presenza di opinioni forti, per quanto diverse dalle nostre. Un’altra è concedere al primo arrivato, in qualunque modo eletto, l’onore dell’invito a parlare nel Parlamento più antico del mondo quando non si riconosce nemmeno la basi della democrazia liberale.
Se il Muslim Ban è estremamente grave, l’attacco al giudice federale sferrato l’altro giorno da Trump è anche estremamente pericoloso. Perché se il primo può essere fermato da checks and balances non solo giudiziari, ma anche politici ed economici, l’altro e’ un attacco eminentemente politico che segna “the whole point of no return” (cit. Luca Filippa), l’inizio di una indiscriminata discesa sul piano inclinato.
Chiariamoci: i giudici e le loro decisioni si possono criticare. Così come si può criticare il modo in cui la giustizia è organizzata, o la forza con cui è imposta. Il limite è oltrepassato quando “a so-called judge” diviene, nelle parole di Trump, l’eventuale responsabile di “something [bad]”, un decisore di parte, un competitor politico e per questo non più indipendente. Non e’ un caso che Bercow nel breve intervento citi “l’autonomia del potere giudiziario”, solo uno dei tre poteri dello Stato lockeiano.
Ah, che si sappia: John Bercow è un ex-banchiere conservatore, un bel peperino in passato anche noto per posizioni piuttosto di destra. Dopo aver fallito l’elezione in Parlamento per due volte nel 1987 e nel 1992, nel 1996 pagò un elicottero per portarlo nello stesso giorno alle selezioni da candidato (i partiti britannici fanno così) in due collegi “facili” per i Conservatori. Per concludere, si sperticò in elogi per Tony Blair quando quest’ultimo decise di fare la guerra in Iraq. Non proprio uno di quei fricchettoni liberal che ci figuriamo quando si parla dei nemici giurati di Trump, diciamo. Eppure..