Ho visto il dibattito all’Università. Torno a casa moderatamente certo di trovare non dico entusiasmo per Hillary Clinton, ma un onesto riconoscimento della superiorità in tutti i campi della suddetta nei confronti di quel demente di Trump.
I miei coinquilini sono due ragazzi piuttosto colti, cresciuti nella periferia benestante di DC, in Northern Virginia, tendenti democratici. Rappresentanti di un’educata middle class, avremmo detto una volta.
E niente.. A quanto pare l’unico cittadino americano in casa, che era un voto quasi certo per Clinton, pare abbia cambiato idea. Non la voterà. L’altro, cittadino lituano residente negli Stati Uniti, ancora sveglio a letto, mi ha fatto: “Ho odiato molto di più la Clinton di Trump. Sembrava un robot: quel sorriso, quell’arroganza..”
Hillary sembra soffrire di un deficit enorme di popolarità tra i “millennials”, così come di credibilità, di calore umano, di pura e semplice simpatia. E nonostante quello davanti (o di fianco) a lei sia tecnicamente un ragazzino di 15 anni con le conoscenze di uno di 12, quest’ultimo risulta comunque più autentico, “meno corrotto” dalla politica. Anche ad americani dotati di un livello culturale superiore alla media, sì.
Forse non ci rendiamo conto che le regole tradizionali della politica contano sempre meno. O che magari stiamo davvero passando a una nuova era, in cui la “mediazione”, la “preparazione”, le “proposte concrete” (a proposito: io ne ho sentite molto di più nel dibattito fra Giachetti e la Raggi, e ho detto tutto), la stessa realtà, hanno sempre meno influenza sulla realtà e sulla pubblica opinione. Con tutti i traumi e i disastri che questo passaggio porterà con sé. Così come, a lungo termine, con tutte le interessanti (e forse anche positive) novità.