È bastato che Massimo D’Alema proferisse parola per scatenare il putiferio, ma la sua influenza sulla ‘sinistra’ non è mai scemata. Citofonare Bray
Massimo D’Alema è solo una scusa per parlare un po’ di me. Da narcisista quale sono. Di me e del mio rapporto con la sinistra, specialmente quella italiana. Però se di me non ve ne frega niente e di D’Alema e la sinistra sì, lo capisco, e c’è un modo: saltate la parte in corsivo e ricominciate appena dopo.
La racconto tutta. Per capire cosa si prova ad essere un ‘giovane’ di sinistra, critico della sinistra, del modo in cui si pensa e si rappresenta la sinistra nel XXI secolo italiano, e della manifestazione politica più larga ed eternamente discussa della sinistra italiana, ossia il Partito Democratico. Sono stato sin da troppo giovane interessato alla politica, terribilmente condizionato, come tutti i coetanei, dalla non-parentesi del berlusconismo, da Michele Santoro e Marco Travaglio, dall’onestismo tramutatosi in grillismo. Prima di vorticare nella galassia democratica, sono stato miseramente e digitalmente attratto per un qualche tempo dalla suggestione pentastellata, poi mi ha ‘salvato’ l’Erasmus e – ahimè – un voto online a Pierluigi Bersani contro Matteo Renzi nell’ormai lontanissimo 2012. Sconvolto dal ‘tradimento’ nei confronti di Prodi – scoprirò solo poi caducità e labilità di tale categoria politica -, mi butto sul Civatismo, e vivo la mia prima vera grande stagione di passione: le treggiorni estive, l’autunno di campagna congressuale tra un capitolo e l’altro della tesi, le fuìtine invernali per nulla segrete ma abbondantemente – troppo – documentate su Fb. Nell’inverno Laziale tra una riunione e l’altra, un evento e un dibattito, le convenzioni di circolo e le assemblee in provincia, regione, hotel enormi, le visioni ‘nazionali’, fino all’ultima provincia (frosinate) dell’impero. Pippo e gli amici e i compagni meravigliosi che dopo un annetto convergeranno sul movimento Possibile – a cui darò solo un’occhiata più che altro mondana ma sempre molto piacevole – mi portano con loro in un’ultima route pazzesca, il caldo della Garbatella, per mandare la giornalista Ilaria Bonaccorsi in Europa: cinquantacinquemila voti da zero, fantastico, ma non ce la si fa. Ancora una volta mi salva l’esilio, la Political Communication teoricissima della City University risoltasi in centinaia di campanelli suonati, quinti e sesti piani sporchi delle council houses del sud-est di Londra per eleggere un futuro parlamentare Labour, Neil Coyle, dopo trent’anni di dominio furbetto della liberaldemocrazia giù a Southwark. Altro capovolgimento di fronte: maggese capitolino, centro infuocato ma educato, le pàblic relescions, marchettine con stile, il lobbismo, il ‘saper stare al mondo’, le chiacchierate in cucina, briciole ed olio e “quanto sei imbranato Shcarà” (sempre), la scoperta Rottamatoria ma graduale (come sennò!?) del riformismo. E il peccato per nulla taciuto, per certi versi autoconsolatorio, narcisistico ma sicuramente giusto, di farsi piacere vecchi pazzi come Jeremy Corbyn e Bernie Sanders, di soffrire per i greci di Alexis Tsipras e pensare che in fondo quel matto di Varoufakis tanto torto non ne aveva. Anzi non ne ha, Europa cafona. E infine lo sguardo sempre più contrito, rassegnato e – confesso – commiserevole nei confronti della cosiddetta ‘sinistra’ italiana.
La sinistra italiana, eh. È bastato che Massimo D’Alema oggi rispondesse alle domande di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera – e chissà con quale godimento, con quale premeditata intenzione sciorinava sul viaggio appena concluso in Iran (a fa’ che?), dove per inciso Vodafone non prende, sapevatelo – per generare un caos, un terremoto, uno sconvolgimento. Chi si sorprende di dargli ragione o essere d’accordo, chi continua ad odiarlo (semmai anche di più), chi fa finta di ignorarlo, chi si fa luccicare gli occhi – perlopiù nascostamente, coprendoseli con la manina e con la tessera del piddì – davanti ad un già avvenuto ritorno sulla scena. Ritorno? Ma D’Alema non se n’è mica andato, D’Alema non se n’è andato mai. Probabilmente mica se ne andrà, mai.
Fa prima contorcere e smidollare la sinistra di cui è stato padre padrone, poi ritorna per domarla, elettrizzarla, in qualche modo darle un’ordinata di sorta, scuoterla sempre. Se parla D’Alema, un motivo c’è, se parla D’Alema ‘è per chiedere qualcosa’. Una posizione che non gli è stata concessa, come il ‘Ministero degli Esteri’ europeo dato al cane giovane e ormai sciolto Federica Mogherini. O una mobilitazione che parte sempre più a fatica, come quella per queste amministrative.
Le amministrative, appunto. La sinistra, o almeno quella che ‘sinistra’ si racconta e si fa chiamare, fuori e dentro dal Partito Democratico, le sta vivendo malissimo, le amministrative. Non ne ha piazzato uno, di candidato. Si fa fregare da Matteo Orfini, già virgulto dalemista, ora diventato “arrogante”, nei rimpasti di partito e nei municipi della Capitale. E nelle due città più importanti del paese si contorce, non sa mica dove andare a parare.
Tenta la sortita con Balzani a Milano, finisce per danneggiare Majorino, cede a Sala. Finge di voler collaborare col manager, ma la capofila saluta tutti, dice che c’ha problemi col programma. Per narcisismo ed ambizione insoddisfabile, come raccontava bene ieri Roberto Galante. Allora D’Alema chiama Civati, fa chiamare De Bortoli, fa chiamare Colombo, fa richiamare Civati: niente. Appesi a un filo, a un filo del telefono – che però ormai è senza fili di un pezzo – del vecchio erede del vecchio Migliore.
A Roma si affida letteralmente alle ‘voci’. “Si dice che Marino voglia..”, “E’ in corso una mobilitazione civica che..”, “Si fa il nome di..”. L’imbranato ma generoso Fassina dovrebbe sentirsi umiliato da questo modo tutto sinistro di trattare uno che s’è giocato la carriera politica praticamente per nulla, ma non se n’è mica accorto: non lo vogliono, e non lo vorranno mai. Goffredo Bettini non c’è più, e comunque sta nel Pd, o in Thailandia, o a Bruxelles – non s’è capito bene -, e allora aspettano che sia ancora una volta il Baffino a sbrogliarla, pregano per la moral suasion verso l’indipendente – se vabbbbe’ – ex-Ministro e Presidente della Treccani Massimo Bray. Aspettano di farsi imporre il candidato de D’Alema, per dirla in breve.
A Napoli per fortuna c’è Luigi De Magistris ad accogliere tutti nella grande nave più pazza della penisola. Tutti, o quasi. Perché la parte di un D’Alema più sincero, arzillo e più politicamente animalesco la sta facendo Antonio Bassolino. Lì Massimino non tocca palla, ma pare che non la tocchi – più probabilmente non l’abbia voluta toccare – anche Matteo Renzi. Rischiando grosso.

Isabel VS D’Alema, su Google Trend. “E considera che quelle di D’Alema è perché lui si cerca da solo”, recita un commento a quest’immagine.
Dico la verità, ‘sinistra’ mia: io non ti capisco più, forse non ti ho mai capita e ti ho sostenuta tanto solo per affetto. Sono stato cieco e conformista, come quando votai Bersani, per email, nel novembre del 2012. Non capisco cosa stai facendo, nei grandi Comuni. Non ti sento vicina, non a me, ma a niente. E’ solo grazie al fatto che il mondo della comunicazione sia sovrappopolato dalla ‘sinistra’ che si continui a parlare ancora dei continui forse, delle aree, dei rumor, dei niet, che non stanno portando a niente. Contorsioni sono già in ritardo per influire in qualsiasi modo nei risultati elettorali di Giugno, per produrre un qualsivoglia momentum positivo. In questo contesto, avere l’impressione che ci si stia muovendo solo per danneggiare il Pd e Matteo Renzi, scusate, non è peccato, ma osservazione critica ben motivata.
Confidando in qualche sparuta esperienza civica – a Roma, Contaci, già prontamente perculata e liquidata, ha accolto alcuni, da piddini ad indipendenti, in un lavoro di condivisione esiguo ma interessante -, riconosco un peccato originale in questa ‘sinistra’. E cioè che essa ha ancora un fottuto bisogno di Massimo D’Alema, per essere almeno ‘discussa’, per provocare reazioni: ma è mai davvero possibile, nel freddo Marzo del 2016?
PS. A proposito, pare che Giorgio Napolitano in persona si sia disamorato di Matteo Renzi. Le riforme costituzionali tremano. Parola (nascosta) di Massimo D’Alema: sarà vero?