Fa bene chi lamenta un’eccessiva morbosità del nostro italico sistema mediatico nei confronti della giustizia, il modo in cui udienze vengano adibite a grandi show televisivi, l’insana pratica -che ci riporta, invero, a tempi non troppo lontani, per non dire ancora attuali e solo ora in fase declinante- del “processo mediatico”, quelle infinite puntatissime dello scatolone santoriano del momento in cui Travaglio si trasforma nel Cassatore dei Cassatori (con ogni doppio senso a libera discrezione del lettore). Fa bene a lamentarsi, dicevamo, ed anche a spegnere l’aggeggio mediatico in uso (posto che tra poco, inevitabilmente, non avremo più nulla tra le mano che non si possa spegnere ed accendere a nostro piacimento), ma se ciò può in qualche modo esser di sollievo, noi italiani non siamo gli unici a far della pratica processuale un feticcio dell’entertainment.
Questo l’advertisement che ho trovato su una (stupenda) fermata del bus di Kensington High Stret, una delle strade più lussuose di Londra:
Ho pensato: “Ok, forse questi -almeno- le udienze le seguono, ragionano sugli elementi processuali, non sfuggono all’analisi critica”.
Poi mi sono trovato a discutere amichevolmente con un’amica tedesca, assolutamente convinta della colpevolezza dell’atleta sudafricano e della malafede del giudice. Ho risposto: “Chi siamo noi per giudicare? Ne sappiamo qualcosa di balistica o di qualsivoglia dinamiche criminogene?”.
E allora forse il cieco parteggiare -elemento fondamentale della morbosità mediatico-giudiziaria di cui sopra non é poi solo prerogativa di guelfi e ghibellini: studieremo il fenomeno, sapremo dirvi di più.
dalla grigia Albione
Nicolò Scarano
@nicoloscarano