Fighi e meno fighi, la gente che piace e quella che conta, laggggente e tutto il resto, i poveracci e gli ignoranti, la classe media riflessiva ed educata, gli ormai leggendari “moderati”, i cattolici e i senzaddio, i professoroni e i professionisti, i rivoluzionari da salotto e quelli da strada..
La mia impressione è che si dividano equamente un po’ tutte, queste fantomatiche categorie, nel referendum di domani. O almeno.. QUASI equamente. E sarà quel QUASI a determinare la sillaba trionfatrice della singolar tenzone: SI – come è scritto sulla scheda, senza accento – o NO?
Domani ognuno troverà l’establishment che si è scelto, sulla scheda elettorale, l’establishment che ha scelto di conservare o da mandare a quel paese – come va molto di moda in questi ultimi anni e mesi. Domani ognuno avrà il proprio Personal Establishment emotivo, il proprio Personal Jesus. Da adorare, o da abbandonare.
Perché ogni tentativo di categorizzare uno dei due schieramenti è stato ciclicamente mozzato da un endorsement contraddittorio, da un interesse rivelato all’improvviso, dalle retoriche rozze di quasi tutti i protagonisti in gara, da tutti gli abbozzatissimi scenari del “dopo”. Che sul “merito” hanno influito eccome.
Lo scrivevo subito dopo l’elezione di Trump: “Il problema è che in Italia non si è ancora capito chi, e che cosa È l’establishment. Vincerà chi saprà indicarlo più chiaramente”. E quell’invito a “votare con la pancia”, allora, ha assunto un significato diverso per ciascuno di noi. Non “un establishment” da battere, ma tanti establishment – anche solo degli atteggiamenti, delle visioni del mondo, qualcosa di astratto – da levarsi di dosso.
Dopo quasi un mese ho ancora la stessa impressione. Ed è per questo che ho trovato questa campagna – da me vissuta con una certa distanza, politica e geografica, una distanza cercata, voluta e devo dire trovata.. Dicevo, ho trovato questa campagna molto interessante. Una campagna che, comunque vada, è il seme di un lunedì che sarà sicuramente diverso da tutti gli altri, per la democrazia italiana. Un lunedì di cesura, per la Repubblica.
Buon voto