E non serve dire quanto e perché questa sia una pericolosa slippery slope, per i tanti che gli credono e per l’istituto stesso della democrazia statunitense, basata su due partiti che si riconoscono a vicenda nell’esercizio di un pacifico “transfer of power” nel momento dell’alternanza.
Repubblicani (e non solo) vanno dicendo: “Beh, Al Gore nel 2000 fece lo stesso: discusse il risultato delle elezioni.” Solo che Al Gore neanche dovette fare ricorso dopo che perse lo stato decisivo – la Florida – per 1784 voti: dato il piccolissimo scarto, la legge elettorale statale esercitò un riconteggio automatico.
Appena il riconteggio diede comunque a Bush la vittoria, Gore concesse, il 13 Dicembre del 2000. Qui Donald Trump – il candidato stesso, non i suoi “surrogates”, non i suoi fan, non Breitbart – sta già piangendo da un mese, senza alcuna prova di brogli, e senza che il voto sia ancora avvenuto, figuriamoci “contato”. Per non dire che secondo tutti i sondaggi (per quel che valgono) rischia di perdere di tripla cifra nel collegio elettorale.
Dirà Trump che 7 milioni di voti gli sono stati rubati? Si, lo dirà. E molti gli daranno ragione, gli crederanno, anche se è tecnicamente e razionalmente impossibile. Questo è un problema grosso, altro che Al Gore. Non finisce l’8 Novembre, e non c’è alcun muro che lo fermi dall’influenzare anche tante altre democrazie.