Ieri sera, appena ho saputo, ho pensato e detto: “Cazzo, due settimane fa ero lì”. Provinciale ed autoriferito, ma anche forse ovvio ed automatico. Umano.
Una persona le cui opinioni e sensazioni hanno su di me hanno ultimamente un *certo* peso mi ha subito dopo confessato: “Forse lo abbiamo sottovalutato questo ISIS”. Ha usato ISIS per parlare di qualcosa di più ampio – o ristretto?, difficilissima da definire in termini spaziali, mediatici, militari, ossia il terrorismo islamico. “E forse abbiamo anche sottovalutato anche la distorsione politica che ha in seno l’Islam. Nel nostro tentativo tutto occidentale di comprendere, a volte quasi di giustificare”. Ci penso. Ci penserò. Cercherò di capire.
Dovremmo incominciare però a metterci d’accordo su una questione in particolare. “Siamo in guerra”, ha detto Hollande, e lo stesso stanno ripetendo in molti. Sì, concordo, siamo in guerra, quello di ieri sera è stato di fatto un atto di una guerra, combattuta in modo terribile. Siamo in guerra e lo sapevamo, e noi occidentali non siamo già andati in Siria a fare la pace, ma a fare – comprensibilmente – la guerra: le bombe servono a quello.
Una guerra, dunque, ma di che tipo e contro cosa? Se siamo pienamente nella “clash of civilisations” da molti oggi citata, teorizzata da Huntington – ma se volete anche da Oriana Fallaci, sono ben 1,6 miliardi i nostri nemici. ‘Affetti’ dalla parola dell’Islam e dunque necessariamente tendenti, seppur in modi e tempi molto diversi, alla sopraffazione dell’altro.
Sono nemici gli ultimi talebani nascosti nelle montagne, i sunniti di città e i militanti sciiti dell’ISIS, Kareem Abdul-Jabbar e gli sceicchi, gli integrati proprietari di ristoranti etnici e gli emarginati delle banlieu. Questa è la clash of civilisations, se fatta all’acqua di rose non ha molto senso.
Forse sto esagerando e in parte travisando Huntington, ma tant’è: sarebbe bene uscire da ogni ipocrisia. Se invece siamo in un conflitto pienamente militare, politico, di pura potenza, dobbiamo capire come combatterlo al meglio.
Prima di tutto: chi e/o cosa è il “noi” che sta combattendo questa guerra, lo sappiamo? Poi: è la nostra priorità assoluta combattere e vincere questa guerra? In giornate come questa, giustamente, pare proprio di sì. Di conseguenza, chi ci dà una mano? Qualcuno ci dà una mano, sul piano internazionale? Sono gli interessi subdoli – o il passato, o l’identità – di chi ci dà una mano un problema in questa guerra, o preferiamo comunque la priorità definita sopra? E invece, siamo sicuri di non avere “falsi amici”? Abbiamo compiuto dei terribili errori negli anni passati, e se sì come evitarli? E infine ‘chi’, soprattutto, sono davvero i nostri nemici – per tornare a come ho “descritto” l’ISIS prima – spazialmente, politicamente, economicamente, militarmente?
Sono cose che la gran parte di noi non sa, queste: studiare e capire, ancora, è un dovere storico.