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Basta con la contabilità: Stati Uniti d’Europa o muerte

A me non va più, ma possiamo anche continuare tranquillamente a fare i ragionieri, a parlare di dove è finito precisamente quel miliardo di quella banca francese o tedesca o di quanti greci sono andati in pensione sotto i sessant’anni ventisette anni fa: abbiamo giornalisti ormai specializzatissimi sul tema, delle specie di mantra in forma umana. Oppure possiamo raccontarci che “MANCAVANO SOLO SESSANTA MILIONI ALL’ACCORDOOOO” -Giannini a Ballarò, ieri- e quindi assumere automaticamente che il problema sono davvero sessanta milioni, o che è tutta colpa di quel coatto pelato che va in moto senza casco, sostenuto e “perdonato” (ma di quale peccato, di grazia?) da un popolo di pigri ignoranti che merita di essere spazzato via dalla storia.

Poi possiamo anche arrivare a comprendere, con un impercettibile sforzo congiunto di logica ed umanità, che il suddescritto è un ragionamento assolutamente inutile. Che qui non si sta parlando di raggiungere un piano meramente tecnico e contabile per aiutare un debitore scalognato o poco attento a ripagare tra qualche annetto un debito pesantuccio. Parliamoci chiaramente: quel debito non lo si rivedrà mai tutto, e con un’improvvida ma purtroppo probabile evoluzione politica non lo si rivedrà mai DEL tutto. Perché è stato buttato via in un buco nero di clientelismo, pressapochismo, vera e propria delinquenza politica: cioè la Grecia prima di Samaras. Poi è arrivato il freddo esecutore, Samaras, l’esattore delle tasse, il pignoratore, che ha eseguito un piano già scritto da altri per recuperare quel credito che sempre irrecuperabile sarebbe rimasto. Risultato: si sono fatti ancora più debiti per pagare i debiti precedenti. Voi penserete che il debito si è alzato ma almeno i greci hanno continuato a vivere nella stessa bambagia degli anni ’90-’00, no? No, per niente, ma questa è storia risaputa, raccontata da persone molto più autorevoli di me, ed è stancante ripeterla anche solo un’altra volta. In sintesi: scordatevi quei 6-700 euro, ieri qualcuno diceva 1000, che vi deve lo stato greco. E per quanto mi riguarda è vomitevole anche solo che vi abbia sfiorato il pensiero di rivolerli indietro, ma questo è un problema mio che probabilmente pagherò nella vita.

Quel NO viene in larghissima parte dai 20-30enni (dati usciti ieri e pubblicati su questa stessa bacheca Fb), che di tutto hanno goduto tranne che di situazioni favorevoli. Né per quanto riguarda l’occupazione, né per quanto riguarda sussidi di alcun tipo: col 60% di giovani a casa, una gran parte delle famiglie greche vive solo con le pensioni dei nonni. Un dramma non solo economico, ma sociale, che -non so voi- avrei qualche difficoltà a definire degno del “mondo occidentale”.
Quel NO può essere dunque letto solo in questo duplice modo:
– NO all’austerity folle e inefficace degli ultimi anni;
– NO alla CAUSA dell’austerity, cioè la gestione sconsiderata dello stato vista nei decenni passati.
Credere che i ragazzi greci si siano fatti convincere a votare prima Syriza a gennaio e poi NO, domenica, per proteggere interessi e prebende di cui non hanno mai lontanamente goduto è indice di un disprezzo totale verso ogni qualsivoglia forma di “razionalità democratica”. Una mispercezione retorica figlia della propaganda più becera, banale, scorretta, che mira alla guerra tra poveri, tra quelle due figure tipizzate e così abusate: “pensionato greco” VS “operaio tedesco” (Divide et impera?).

Questa tragedia -e in sé l’attributo “tragico” vuole avere connotazioni assieme negative e positive-, che viene raccontata dai media mainstream come “greca”, mentre è spiccatamente “europea”, può risolversi solo in due modi:
1 – In maniera regressiva: “cacciare la Grecia per salvare l’euro”. Una soluzione puramente economicistica, che avrebbe conseguenze assolutamente nefaste dal punto di vista politico e geopolitico. Non tra trent’anni, ma tra dieci se non cinque. Henri Bernard Levy twittava ieri che è Tsipras a gonfiare Le Pen: impressionante la miopia di questi intellettuali bolliti che hanno avuto tutto dalla vita. Al massimo è l’eurocritica progressista l’unica arma buona per “scoppiare” il bubbone dell’euroscetticismo razzista e antiglobale da “piccolo mondo antico”. È questa la corrente politica che avrà la meglio con una crisi umanitaria nel cuore dell’Europa, crisi che verrà inevitabilmente foraggiata da un Putin in versione “benefattore”: poi scollatevelo voi, Vlady. Ma soprattutto i nazisti, quelli veri, altro che Iglesias, Podemos, o anche solo il Movimento Cinque Stelle: sto usando uno spauracchio? Sì.
2 – In maniera progressiva e -mi scuserete ancora l’uso della categoria politica “antica” ma mai così valida- progressista. Mi direte che è utopico decidere in pochi giorni che il debito pubblico di ogni singolo paese membro dell’Unione Europea si unifichi e si trasformi finalmente in debito sovrano europeo. Vi rispondo che dovremmo ritornare a rifiutare la categoria politica dell”utopia”, così come abbiamo ormai imparato a digerire quella del “tradimento”. Perché l”unica strada di sopravvivenza per l’Unione è una svolta immediata verso l’impostazione di un governo politico, direttamente eletto, verso l’unione non solo bancaria ma delle competenze monetarie, verso -ripeto- un debito finalmente europeo, che sostanzialmente “cancellerrebbe” tutti i debiti nazionali, compreso quell’inezia del debito greco, e le continue controversie e speculazioni che questi generano.

Perché i paesi ricchi -su tutti la Germania- dovrebbero acconsentire a un atto del genere? Rispondo con un’altra domanda: per quale razza di motivo abbiamo fondato l’Unione Europea? Non era meglio rimanere un mercato unico e basta, se l’unica categoria delle relazioni internazionali che prendiamo in considerazione è quella dei conticini economici? Se non siamo capaci di trovare una soluzione a una migrazione di 60.000 persone, o se permettiamo a un fascista come Orban di fare il bello e il cattivo tempo, addirittura di costruire MURA “a difesa” delle NOSTRE frontiere? “Debito unico, welfare unico” mi ha risposto qualcuno, alludendo al fatto che i Greci sarebbero dei chiagni e fotti e non accetterebbero di rinunciare a certe “comodità”: perché no, dico io? Zingales, che non è proprio un Diego Fusaro né per posizioni politiche né per competenze economiche, ha proposto già quasi due anni fa il “sussidio di disoccupazione europea”: quale miglior strumento per costruire cittadinanza continentale, ed è solo un esempio? Quale miglior modo di prevenire i viziacci da spreconi del sud e austeri del nord?
Io non credo che la Grecia non debba riformarsi: io credo debba farlo profondamente, ma non come CONDIZIONE per ricevere un altro prestititino nel quale affogherebbe -al meglio- tra due o tre anni, ma per il fatto stesso di essere parte dell’Unione Europea: è per quanto ho già scritto prima riguardo la volontà politica espressa dai Greci che reputo inaccettabile che si parli di “non volontà di cambiare”, così come la raffigurazione di “pesaculo”, o di “conservatore” a un qualsiasi governo che si azzardi neanche ad attuare -non ce n’è stato né tempo né il minimo spazio economico, checché se ne dica-, ma ad esprimere idee diverse.

Per concludere con una parafrasi garibaldina la mia trattazione sicuramente un po’ rozza: o si fanno gli Stati Uniti d’Europa, per davvero e finalmente, qui ed ora, o si muore, asfissiati o affogati. In tal caso, e soprattutto con una cacciata violenta dei “debitori” (che appellativo raccapricciante per un popolo europeo) non lascerà alcun valore in cui credere, alcuna bandiera da sventolare, alcuna Europa da difendere. Non chiedetemelo neanche, dopo questo: rimarrà solo l’Italia da vivere, possibilmente come cosmopolita.
Non è una questione di mera contabilità, non è una questione di antipatie personali tra leader, non è questione di funzionari che hanno scritto male un piano di rientro, e neanche della velocità con cui un paese o l’altro fa le riforme: qui si parla di pura, e semplice, politica.

Nicolò Scarano
@nicoloscarano

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