I dati elettorali, come dopo ogni elezione, vengono utilizzati un po’ come si vuole da ogni singolo commentatore o, ancor peggio, anche dalla maggior parte degli attori fino a poco prima coinvolti nella disputa.
La storta visura dei numeri scaturiti dai seggi, la siddetta “analisi dei flussi”, l’artificio della congettura post-elettorale sono il BIAS per definizione, in quanto archetipo della “manipolazione del reale”. Posto che niente è più reale di un dato grezzo e nitido agli occhi come solo un numero può essere.
Numerose sono le distorsioni di cui abbiamo potuto sentire in questi giorni. Tuttavia qui puntualizziamo solo quella che più dà adito a editoriali e chiacchiericci: il presunto calo o rialzo nelle percentuali di voto di una data lista/partito rispetto a una passata elezione. Il problema si palesa quando il confronto viene fatto con un’elezione di un tipo completamente diversa da quella che si sta cercando di analizzare.
Questa sessione di elezioni amministrative si prestava particolarmente al giochino, giungendo esattamente un anno e una settimana dopo quel test di pura opinione politica che furono le elezioni europee di maggio 2014, quando il Pd sfondò tutte le aspettative conquistando un mastodontico e impositivo 40,8% contro il 21,15 del M5S. Alle ultimissime elezioni, tuttavia, aggregando i dati di tutte le regioni, il Pd riduce drammaticamente il suo sostegno al 23,7% e il M5S al 18%. Tutta la stampa, adducendo questa ed altre ragioni, parla univocamente di crollo del Partito Democratico e “stop al Governo Renzi”, sottointendendo una valutazione politica nazionale ad un voto prettamente locale.
Brevemente, vediamo le cose come stanno: se il voto alla lista del Pd risulta sicuramente ridimensionato, l’area di centrosinistra rimane preminente, e chi conosce un minimo il funzionamento di elezioni amministrative come quella regionale, sa che il voto si frammenta in una miriade di liste, direzionandosi verso vari candidatucci ai diversi Consigli rappresentativi. Questo vale soprattutto per il Pd che, in definitiva, non perde poi molto rispetto all’anno prima (un calcolo che aggrega il voto alle liste “affini al Pd” -che anch’esso, c’è da dire, lascia il tempo che trova- dà tutta l’area intorno al 38%: rispetto al 41, un calo di tre punti).
Anche il 18% del M5S, in confronto ai risultati delle nazionali 2013 e delle europee del 2014, fa parlare di un calo importante. Eppure non serve un grosso ragionamento politologico per comprendere che un’elezione locale prevede necessariamente un forte radicamento sul territorio, come sopra descritto, e che la media del 18% per un movimento relativamente nuovissimo rappresenta un risultato degno.
Non sorprende é non reca troppo danno che a gettare fumo negli occhi riguardo l’interpretazione del reale siano partiti e politici, sempre comprensibilmente impegnati nel portare acqua al proprio mulino. Che lo stesso venga però fatto da autorevoli giornali, giornalisti e giornaloni sì. È il grande bias elettorale, signori, e ne avremo ancora per un po’.
Nicolò Scarano @nicoloscarano