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Note sparse, disordinate, banali, per una sinistra globale

Non ho capito, com’è che li volete bloccare? Coi cani?
I nostalgici del “piccolo mondo antico” se ne devono fare una ragione. Processi così grandi non si fermano, come non si ferma il vento.

E allora forse -avviso: scriverò delle banalità-, invece di fare la guerra tra poveri, dovremmo incominciare a pensare a come ottenere -non chiedere, OTTENERE- condizioni migliori per tutti.

Pensiamo ai braccianti che, al meglio ci lasciano la schiena, al peggio la pelle, nel nostro Meridione: lavorano 12 ore al giorno, a 2 o 3 euro l’ora, ovviamente in nero. Sareste disposti a lavorare a quelle condizioni? Ma soprattutto: perché quelle condizioni, chi decide quelle condizioni, e chi viene danneggiato da chi decide quelle condizioni, a parte -ovviamente- chi le subisce direttamente? Ma allora con chi bisogna prendersela?

Altra questione trita e ritrita: perché permettiamo la libertà totale della circolazione di merci e capitali, e non di quella degli uomini? No, non farò l’apologeta dell’antilibbberismo, ma pensiamo solo a cosa vogliono i conservatori di tutto il mondo, non per ultimi quelli del governo Cameron: un settore finanziario sostanzialmente non regolato, capace di veicolare “ricchezza” (ma per chi?) a velocità inimmaginabili, e, allo stesso tempo, i cani a Calais, all’uscita dell’Eurotunnel.

Contraddizioni violentissime, puramente ideologiche. E sono solo due esempi, se vogliamo infinitesimali.

A sinistra ci si sta ricordando della “nazione”, si fanno gli occhi dolci alla “destra sovranista”. Passiamo dal conformismo acritico verso l’attuale costituzione dell’Unione Europea a un rivolgimento tutto ombelicale, regressivo, egoistico, ottocentesco? Dio ce ne scampi e liberi.

La via è apertura coperativa, non un ritorno alla chiusura scontrosa. La via è più libertà -per tutti-, non più conservazione. Una libertà che sappia “regolare” sé stessa, una libertà che non danneggi quella degli altri, soprattutto quella dei più deboli. Una libertà che sappia aiutare più che assistere, che sappia accompagnare tirando fuori il meglio da ognuno ed ogni cosa. Una libertà che lasci iniziativa senza permettere alcuna forma di ferocia, neanche subdola o a bassa intensità.

La sinistra che verrà o è globale o non è. O è libera o non è. O è radicale o non è. Ed essere “globali”, intendiamoci, non vuol dire arrendersi alle attuali (non)regole della globalizzazione, o a richiedere un po’ “more of the same”, o a mettere le pezze ad inarrestabili spirali viziose, a cui una certa subalternità ha solo dato il là senza colpo ferire.

“Sinistra globale” vuol dire riconoscere come uguale chi uguale non sembra. Vuol dire saper individuare quali sono le lotte del XXI secolo e con chi combatterle, dall’operaio cinese che fa due ore di fila per prendere il bus alle cinque di mattina e lavorare 10 ore senza sosta, al giovane congolese che cammina per due ore all’andata e due ore al ritorno per dare speranza e prospettiva alla propria esistenza con qualche ora di educazione quotidiana. Fino agli esuberi e agli esodi di casa nostra, sì. Problemi troppo differenti e distanti, si dirà: essere globali significa essere profondamente ambiziosi, sapendo stare nell’esistente che non piace per incidervi con radicalità.

“Sinistra globale” significa proporre, ma soprattutto saper attuare soluzioni estremamente innovative, dominare la tecnologia, le immagini e la parola, saper cambiare paradigma. Inaugurare nuovi mondi, aprire tracce mai tentate prima. Lottare contro le rendite, i conformismi, i “così è perchè così deve essere”, rottamare il grande peccato della banalità.

To be continued?

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