Caro il mio partito di sinistra, la protesta di questi giorni è nata senza alcun tipo di cappello né bandiera. Fomentata – com’era ovvio – subito da Grillo, ora Berlusconi sta iniziando a dialogare con chi la anima.
Caro il mio partito di sinistra, questa è una protesta storica e preoccupante. E’ la protesta dei #forconi, di quelli che “vi vengono a prendere coi forconi”: si dice così, no?
Caro il mio partito di sinistra, sei stato assalito due volte nel giro di 10 giorni: nella tua sede più storica, nella federazione provinciale della Capitale.
Caro il mio partito di sinistra, se Silvio – una delle cause dei mali lamentati scompostamente da queste persone – incontra i forconi alle 17, Matteo (Renzi) dovrebbe farlo alle 16.
Caro il mio partito di sinistra, l’unico modo per finirla subito con tutto questo è una valanga di democrazia: questo governo non può reggere né incidere, lo ha dimostrato, dovremmo proprio andare a votare.
Era profetico, Civati, quasi venti giorni prima dei #forconi: “E invece i popoli dall’«essere oppressi» o «da suspizione di avere ad essere oppressi» si mobilitano per cambiare. E la politica li deve considerare, soprattutto se ancora si vuole collocare sul fronte del cambiamento, che degli oppressi e della loro suspizione di esserlo si dovrebbe soprattutto occupare (questo il senso, se si vuole, del fin abusato slogan occupy). Cercando, al di là dei toni e del volume, di cogliere le ragioni di questo disagio, della rivolta delle classi meno abbienti o senza futuro, del movimento che si sta componendo a livello globale. Preoccuparsi più della sostanza delle proteste e del disagio che delle loro manifestazioni, proprio per evitare che il dibattito negato degeneri in un conflitto senza interlocuzione, e il vento che soffia si trasformi in tempesta.”